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Risoluzione Consensuale Patto Di Non Concorrenza
Il patto di non concorrenza è quell’accordo per cui, a fronte di un’indennità aggiuntiva, il lavoratore accetta di non svolgere attività concorrenziale rispetto all’impresa per un periodo successivo alla cessazione del rapporto. Il perno normativo, l’articolo 2125 del codice civile, ne detta i requisiti inderogabili: forma scritta a pena di nullità, obbligatorietà di un corrispettivo, limitazioni precise in relazione all’oggetto, alla durata e all’ambito territoriale. Il legislatore, con questa architettura, tutela la libertà professionale del lavoratore evitando che vincoli eccessivi schiaccino il suo potere negoziale. Da quella stessa architettura discende un’altra conseguenza: se le parti, dopo aver sottoscritto il patto, intendono scioglierlo o rinegoziarlo, devono farlo anch’esse per iscritto, perché la forma scritta ad substantiam che protegge il dipendente non può essere aggirata con accordi verbali o con comportamenti concludenti. La Corte di cassazione ha più volte ribadito che la forma, richiesta in origine per validare il vincolo, diventa requisito di validità anche per la sua modifica o per la sua cessazione.
La risoluzione consensuale, allora, si presenta come lo strumento più flessibile per ridisegnare l’intesa quando il quadro economico o professionale sia mutato. Le esigenze che possono spingere verso lo scioglimento sono molteplici. Per l’impresa, ad esempio, il divieto può diventare inutile se la strategia commerciale cambia radicalmente, se il lavoratore non è più in possesso di know how sensibile o se i costi dell’indennità superano i benefici. Per il lavoratore, liberarsi dal vincolo può significare cogliere un’opportunità di carriera non immaginabile al momento della firma. L’autonomia contrattuale garantita dall’articolo 1372 del codice civile apre lo spazio a un nuovo accordo, purché, appunto, si materializzi in un atto scritto, datato e sottoscritto dalle parti.
Nel redigere l’atto di risoluzione conviene come prima cosa richiamare gli estremi del patto originario, indicando la data, le clausole su oggetto, durata e territorio e l’indennità pattuita. È utile spiegare le ragioni che conducono allo scioglimento: aiuta a dimostrare la volontà condivisa e preserva la sicurezza giuridica se, in futuro, sorgessero contestazioni sulla serietà del consenso. Le parti possono scegliere se sciogliere il patto con effetto immediato o differito; possono decidere di cancellarlo del tutto oppure di ridurlo, per esempio mantenendo un divieto limitato a determinati clienti o a un territorio più circoscritto. Qualsiasi opzione si scelga, va specificata in modo inequivoco la data dalla quale il vincolo cessa o la nuova portata che assumerà.
Il nodo più delicato riguarda il corrispettivo. L’indennità si giustifica come prezzo della compressione della libertà del lavoratore. Non esiste una regola rigida circa la restituzione di quanto già pagato, ma la giurisprudenza di merito applica con coerenza un criterio di equità: se le parti estinguono il patto prima della scadenza, la somma percepita deve essere proporzionata al periodo durante il quale il divieto è rimasto potenzialmente efficace. Da qui la prassi di calcolare pro rata la quota relativa al periodo residuo e di restituirla, salvo che l’accordo originario prevedesse in modo espresso che l’indennizzo remunerasse non tanto il tempo di vincolo quanto il mero consenso iniziale del dipendente. Tale ipotesi è però tollerata solo se l’importo globalmente corrisposto rimane congruo rispetto all’impegno che, seppure in modo ridotto, il lavoratore ha assunto. In caso di restituzione, la somma può essere trattenuta direttamente dal datore o versata dal dipendente; fiscalmente è trattata come restituzione di reddito soggetto a rimborso d’imposta, previo certificato delle somme già tassate. Se, invece, si concorda che l’indennità rimanga al lavoratore, questa continuerà a essere imponibile secondo le regole ordinarie.
La risoluzione può intervenire mentre il rapporto di lavoro è ancora in corso o dopo la cessazione. Se avviene durante la vigenza del rapporto, e soprattutto se la data di scioglimento si colloca dopo la fine del rapporto, è buona norma prevedere un preavviso adeguato, per non spiazzare il lavoratore che magari aveva impostato le proprie scelte professionali sul presupposto della durata originaria del patto. Il principio di buona fede impone di non trasformare la risoluzione in uno strumento di sorpresa a danno della parte più debole. Quando la cessazione del patto interviene dopo la fine del rapporto, il lavoratore di solito ha già percepito in tutto o in parte l’indennità; in tal caso, se l’impresa richiede la restituzione integrale di somme, l’accordo dovrà prevedere modalità e tempistica di rimborso che non pregiudichino indebitamente la posizione economica del dipendente.
La cessazione del vincolo libera entrambe le parti: il lavoratore può intraprendere attività prima vietate, il datore non può più pretendere l’inadempimento del divieto né ricorrere alla penale, se prevista. Tuttavia, tutti i comportamenti che abbiano violato il patto prima della data di efficacia della risoluzione restano sanzionabili. Per evitare incertezze, è opportuno fissare l’efficacia a una data futura che consenta al lavoratore di organizzarsi e consenta all’impresa di predisporre eventuali misure di protezione del know-how aziendale. Non di rado, infatti, i patti di non concorrenza si affiancano a clausole di riservatezza ultrattive: la risoluzione può estinguere il solo divieto concorrenziale ma lasciare in vita il dovere di segretezza sui dati confidenziali. Occorre quindi specificare se la riservatezza sopravviverà e per quanto tempo.
Dal punto di vista fiscale, l’indennizzo pagato in occasione della risoluzione segue il regime del corrispettivo originario: reddito di lavoro dipendente se l’erogazione avviene durante il rapporto; reddito assimilato in caso di pagamento successivo. Restituzioni totali o parziali danno diritto al rimborso dell’Irpef già versata: il lavoratore dovrà indicare l’importo nelle dichiarazioni successive presentando idonea documentazione.
Se una delle parti non rispetta l’accordo di risoluzione, la controversia è di competenza del giudice del lavoro ex articolo 413 del codice di procedura civile. Il lavoratore agisce presso il tribunale del luogo di lavoro, il datore di lavoro può convenire il dipendente nello stesso foro. Non esiste un termine di decadenza come quello previsto per l’impugnazione dei licenziamenti; l’azione che fa valere la nullità del patto o del suo scioglimento è imprescrittibile, secondo l’articolo 1422 del codice civile, mentre le pretese risarcitorie relative ad obbligazioni nascenti dal contratto si prescrivono nel termine ordinario decennale. Ciò significa che il lavoratore, anche a distanza di molti anni, può eccepire la nullità in via di difesa, se il patto o la sua rescissione non rispettano i requisiti di legge.
Qualora il datore di lavoro volesse sospendere e non eliminare il divieto, le parti possono stipulare una clausola di sospensione temporanea, la cosiddetta stand-still, che congeli l’efficacia del patto per un intervallo preciso, lasciando inalterati diritti e obblighi per il periodo residuo. È una prassi riconosciuta lecita dalla giurisprudenza purché non si traduca in un prolungamento surrettizio della durata oltre il limite massimo ritenuto ragionevole (normalmente trentasei mesi per i quadri e quaranta-ottanta mesi per i dirigenti, secondo gli orientamenti della Suprema Corte).
I contenuti minimi di un accordo di risoluzione scritta dovrebbero, pertanto, prevedere il riferimento al patto originario, la data di efficacia dello scioglimento o della modifica, il destino del corrispettivo già versato o da versare, la regolamentazione degli obblighi di riservatezza e la rinuncia reciproca a pretese future derivanti dal patto estinto. In caso di restituzione di somme, è opportuno specificare i termini e il metodo di pagamento, prevedendo eventualmente la compensazione con crediti residui del lavoratore (ferie non godute, TFR, premi). Se l’accordo viene sottoscritto digitalmente, dovrà essere munito di firme qualificate e conservato secondo la normativa sulla conservazione a norma dei documenti informatici.
Esempio di Risoluzione Consensuale Patto Di Non Concorrenza
Di seguito è possibile trovare un esempio di risoluzione consensuale patto di non concorrenza.
TRA
__________________, con sede legale in ______________________________________________________, C.F./P. IVA __________________, in persona del legale rappresentante pro-tempore sig./sig.ra __________________di seguito «Società»),
E
____________________________________, nato/a a __________________ il __________________, C.F. __________________, residente in ____________________________________ (di seguito «Lavoratore»),
premesso che
-in data __________________ le parti hanno stipulato un patto di non concorrenza («Patto») valido fino al __________________, con ambito territoriale__________________ e corrispettivo complessivo di € __________________ lordi, di cui € __________________ già versati al Lavoratore;
-per mutate esigenze organizzative e professionali desiderano sciogliere anticipatamente tale Patto;
convengono e stipulano quanto segue:
1 – Risoluzione del Patto
Dal __________________ alle ore 00:00 il Patto è risolto per mutuo consenso ai sensi degli artt. 1372 e 2125 c.c.; da tale momento il Lavoratore non è più vincolato da obblighi di non concorrenza e la Società rinuncia a qualsiasi azione o penale fondata sul Patto.
2 – Trattamento del corrispettivo
L’importo di € __________________ lordi già corrisposto resta definitivamente acquisito dal Lavoratore a compenso del periodo in cui il divieto è rimasto efficace. La residua quota di € __________________ O sarà restituita alla Società entro ___ giorni / O non verrà più erogata.
Ciascuna parte curerà gli adempimenti fiscali e contributivi connessi.
3 – Obblighi di riservatezza
Restano impregiudicati gli obblighi di segretezza inerenti a informazioni riservate o know-how aziendale ai sensi dell’art. 98 codice proprietà industriale, che il Lavoratore dovrà rispettare fino al __________________.
4 – Rinunce reciproche
Con il presente atto le parti rinunciano a ogni ulteriore pretesa concernente il Patto, fatti salvi i diritti di natura indisponibile di cui all’art. 2113 c.c.
5 – Forma e modifiche
Il presente accordo è redatto in forma scritta, requisito essenziale ai sensi dell’art. 2125 c.c. Ogni futura modifica o integrazione dovrà rivestire la stessa forma. Le eventuali spese di registrazione saranno a carico di __________________.
6 – Foro competente
Per qualunque controversia relativa al presente accordo è competente il Tribunale del lavoro nel cui circondario il Lavoratore ha svolto la prestazione.
Letto, approvato e sottoscritto.
____________________________________
La Società
__________________
Il Lavoratore
__________________
(Ai sensi degli artt. 1341 e 1342 c.c. il Lavoratore dichiara di approvare specificamente le clausole nn. 3, 4 e 6.)
Fac Simile Risoluzione Consensuale Patto Di Non Concorrenza Word da Scaricare
In questa sezione è presente un modello risoluzione consensuale patto di non concorrenza da scaricare. Il modulo risoluzione consensuale patto di non concorrenza compilabile messo a disposizione è in formato DOC, può quindi essere aperto e compilato utilizzando Word o un altro programma che supporta questo formato.
La compilazione è molto semplice, basta infatti inserire i dati mancanti negli spazi presenti nel documento.
Una volta compilato, il fac simile risoluzione consensuale patto di non concorrenza può essere convertito in PDF o stampato.
Fac Simile Risoluzione Consensuale Patto Di Non Concorrenza PDF Editabile
Di seguito viene messo a disposizione un fac simile risoluzione consensuale patto di non concorrenza PDF editabile.